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La religiosità ha a che fare con l’Isis?

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Su suggerimento di @Ergosfera, @Fedrik, @Hater Parisi, @Francesco Vitellini.

Se la natura dell’Isis sia religiosa o geopolitica – o entrambe – è una questione aperta e molto dibattuta: il primo caso sembra avere tra i propri sostenitori pensatori più “a destra”, ma non sembra esserci una differenza quando si tratta di chiedere ai musulmani “moderati” di distanziarsi dal terrorismo. Quest’articolo tradotto da Internazionale si chiede proprio se questo sia giusto: sottolinea infatti come molti degli attentatori, prima che musulmani, «sono un prodotto della società francese».

In effetti, questo potrebbe essere il momento storico giusto per dare voce a cittadini considerati di seconda classe perché musulmani e scrivere un nuovo contratto sociale. La crisi acuta che attraversiamo potrebbe rivelarsi un’opportunità per ridiscutere con i musulmani il patto repubblicano della laicità, negoziato un secolo fa – con grande violenza – con la chiesa cattolica.

Di questa natura a metà tra la religione e la politica parla anche un secondo articolo tratto da Internazionale (l’articolo originale è apparso sul NYT), dove si punta sulla paternità e la maternità dell’organizzazione jihadista («Il gruppo Stato islamico ha una madre: l’invasione dell’Iraq. Ma anche un padre: l’Arabia Saudita e la sua industria ideologica»). Della relazione con l’Arabia Saudita abbiamo già parlato, come pure della radice religiosa estremista (ad esempio nei commenti dell’articolo di ieri). Qui invece l’accusa contro lo stato arabo e la miopia occidentale è più forte.

Tutto ciò suscita qualche perplessità di fronte alle roboanti dichiarazioni delle democrazie occidentali sulla necessità di lottare contro il terrorismo. Si tratta di una “guerra” miope poiché prende di mira l’effetto e non la causa. L’Is è una cultura prima di essere una milizia: come impedire che le generazioni future scelgano il jihadismo se non sono stati arginati gli effetti della Fatwa valley, dei suoi religiosi, della sua cultura e della sua immensa industria editoriale?

Di narrazione e cultura parla anche quest’articolo di Minima&Moralia, ma da tutt’altro punto di vista: quello della narrazione occidentale sull’Isis come «diavolo», sulle basi medioevali proprio di questa concezione, che secondo l’autrice ritroviamo nei discorsi politici.

L’immagine del barbaro musulmano che il copione vuole offrirci, coerente con le sanguinarie performance con cui l’Is ha scandito la sua avanzata in oriente, mirante a indurre nell’occidente un delirio collettivo, porta le nostre più profonde paure al parossismo nel momento in cui ci restituisce non tanto un’immagine di sé quanto quella sedimentata dal tempo nel nostro inconscio sociale: un’immagine propagandistica creata nel medioevo, nella sua storiografia confessionale in particolare papista, e ripresa acriticamente a partire dall’11 settembre da una propaganda globale che ha insinuato l’”intrinseca negatività” della religione musulmana attraverso le suggestioni del clero cattolico e del personale politico proiettate in crescendo sull’immaginario mondiale.

Di una visione simile viene accusata la Russia, in quest’articolo di Quartz, affermando che in questo modo la Russia (come la Turchia) supporta l’Isis, malgrado le ultime tensioni. Questo proprio a causa della spinta alla cristianità e ai suoi “valori”.

Russia claims to be fighting ISIL, but many of its airstrikes—like the ones that provoked Turkey’s shooting of a Russian fighter aircraft yesterday—have hit regions where ISIL is not operating, or have directly targeted ISIL’s Sunni Arab enemies. By weakening other rebel forces and framing its intervention in Christian language and symbolism, Russia is confirming ISIL’s narrative and may leave them the option of last resort for Syria’s beleaguered Sunni Arab opposition.

 

Immagine CC BY da flickr


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